«Spariti! Andati! Puf!»
«Calmati Jared.»
Susan invitò il collega a sedersi ma l’uomo continuò a gesticolare da un capo all’altro dell’ufficio. La dottoressa sospirò, prese due bicchieri e li riempì di ghiaccio, l’unica cosa presente su quell’enorme pianeta.
«Spiegami cos’è successo» aggiunse poi, mentre apriva la bottiglia di whiskey piena a metà e ne versava il contenuto. I cubetti sfrigolarono al contatto con l’alcol.
«I satelliti Guardia sono scomparsi, tutti e quattro» Jared afferrò il bicchiere e tracannò il liquido in un unico sorso.
Susan storse la bocca.
«Difficile si siano guastati nello stesso momento. Hai…»
«Ho controllato tutto il controllabile!»
«Non mi interrompere, Jared.»
«Certo, scusa» L’uomo infossò la testa nelle spalle, il viso bianco come il manto gelido che avvolgeva Tau-Alba. La dottoressa gli fece cenno di proseguire. «Comunque, ecco… Tu sei il capo, qui. Puoi controllare sul tuo terminale. Magari hai più dati a disposizione.»
La donna bevve il whiskey e ruotò sulla poltroncina girevole. Non nutriva molte speranze su quella ricerca. La sua postazione serviva a gestire l’estrazione del ghiaccio da inviare alla Colonia Spaziale 37 e a coordinare le decine di stazioni sparse su Tau-Alba. Per il resto, aveva pochi applicativi in più rispetto al sottoposto.
«Non riesco ad agganciare i segnali dei Guardia. Dovremo inviare una nave a verificare, non voglio che la rotta con la Colonia sia scoperta. Ah… Però il programma mi restituisce un errore anche se cerco di connettermi alla linea di satelliti Cielo.»
«Andati anche loro?»
Susan ruotò rigida con la sedia e guardò l’uomo negli occhi. Aveva percepito un tremito nella sua voce. Paura? O erano i dieci gradi fissi nell’ufficio?
«Non credo, Jared» disse tornando a sondare il terminale. «Potrebbe essere un problema a livello di software, a questo punto. Contatta la sezione informatica.»
Il buio calò all’improvviso. La dottoressa scattò in piedi, seguita da un gridolino del collega. Si avvicinò alla finestra e scrutò il campo. In oltre trent’anni di servizio, non aveva mai visto una tempesta su quell’Antartide spesso centinaia di chilometri, ma una nube nera, alta all’orizzonte, aveva appena oscurato il sole. Indossò la tuta pesante da esterno e gli occhiali protettivi, quindi uscì.
Il vento gelido le schiaffeggiò il viso con forza mentre posava il piede sulla coltre di neve e ghiaccio. Il sibilo dell’aria era l’unico suono che giungeva alle sue orecchie: niente trivelle, niente seghe, niente carrelli magnetici, niente generatori.
«Ma non lavora più nessuno?» si chiese ad alta voce, sbuffando una nuvola di vapore irregolare.
«Non più, dottoressa!» Dall’hangar sulla destra emerse l’addetto alle comunicazioni; dietro di lui, alla porta, si accalcavano gli altri del campo.
«Calvin! Si può sapere che sta succedendo?»
«Stavo venendo a cercarla. Le… le stazioni dall’altra parte di Tau-Alba sono state spazzate via, un paio di minuti fa.»
Jared gridò di nuovo e si lanciò di corsa verso l’hangar. Susan lo seguì con lo sguardo, poi tornò all’addetto.
«Spazzate via?»
«Ero in comunicazione con la stazione theta quando…» scosse la testa. «Dobbiamo evacuare, subito! Si avvicina!»
La dottoressa seguì il dito di Calvin, che puntava verso la tempesta. L’orizzonte era nero come pece, una nube densa quanto il piombo si allungava nel cielo, con cinque propaggini filiformi, ormai quasi allo zenit sopra la base.
«Via! Lasciamo Tau!»
Sfrecciarono verso la rimessa, il gelo che si infilzava nei polmoni in schegge acuminate, il ghiaccio che scricchiolava sotto le suole chiodate. La navetta era già pronta al decollo: i piloti non avevano atteso l’ordine per decidere che fosse tempo di lasciare il freddo del pianeta per quello dello spazio. Susan diramò il segnale di evacuazione generale a tutte le stazioni di Tau-Alba – a quelle ancora integre, almeno – e si legò al sedile.
Mentre l’accelerazione la schiacciava contro l’imbottitura, pensò a tutto quello che aveva lasciato sul suo pianeta di ghiaccio. Compagni, attrezzature. La sua stessa vita, per oltre tre decadi congelata tra una stazione e l’altra di quel mondo sottozero. E persino una bottiglia di whiskey ancora piena per un terzo.
Ma, una volta fuori dall’atmosfera, non appena riuscì ad avvicinarsi alla vetrata che dava sull’esterno, convenne che no, non avrebbe mai più bevuto in vita sua.
Sembrava la scia di una cometa proveniente dallo spazio profondo, intessuta di filamenti rossastri che si intrecciavano in una nebulosa infinita. Vicino a Tau-Alba si scorgevano due piccoli pianeti, immersi nelle volute color fuoco, quasi due occhi famelici, e una spirale di gas denso che si avvitava a formare un cilindro a scala planetaria, quasi fosse… un bicchiere?
La nebulosa attorno a Tau pareva una grinfia, le propaggini erano delle dita pronte a stringersi.
Susan poggiò una mano sul vetro. Il suo pianeta era appena diventato il ghiaccio per un cocktail di dimensioni cosmiche. Sbuffò dalle narici con un sorriso amaro e sussurrò: «Un nebula on the rocks…».
Alessandro Mazelli è nato a Gorizia nel 1993, ma si è appassionato al fantasy e alla fantascienza solo all’università. Ingegnere civile di professione, è convinto che strutture e racconti siano affini: in entrambi i casi è necessario progettare e costruire.
Ha vinto per due anni consecutivi il concorso “Lo Scrigno dei Racconti” con le opere di fantascienza “Composizione Vettoriale” (pubblicata in antologia da Runa, 2021) e “Bio-Tensore di Alimentazione” (2022, l’antologia uscirà a breve!). Nel 2021, il suo racconto “Sogno di un elfo musicista” ha vinto il concorso “Sogni di Fantasy” ed è stato pubblicato nell’omonima antologia di beneficenza da PAV Edizioni (2022). Ha all’attivo altri racconti fantascientifici usciti su riviste del fantastico e, da buon ingegnere civile, ha in cantiere altri progetti fantasy e sci-fi, compreso il suo primo romanzo.
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