Pratchett, monopoli, individualismo

Una premessa: tutto il pippone che seguirà mi è saltato in testa leggendo l’articolo di Cory Doctorow sul perché non possiamo, come individui, fermare il fenomeno della enshittification, ovvero quel fenomeno che porta aziende tecnologiche a peggiorare gradualmente i servizi per i loro utenti, pur continuando a incassare un mare di soldi.


Quest’estate, l’ho già detto, ho recuperato un bel po’ della produzione non ancora tradotta di Terry Pratchett, l’autore di fantasy comico che mi ossessiona da anni.

Dopo aver terminato il ciclo delle Guardie ho cominciato Going Postal, il primo libro del ciclo di Moist Von Lipwig. La trama del libro è focalizzata sulle Poste di Ankh-Morpork, una volta un’azienda gloriosa ma oggi completamente abbandonata a se stessa, anche per colpa del progresso tecnologico che ha reso il servizio postale quasi obsoleto.

In particolare ha preso piede a Mondo Disco la tecnologia dei Clacks, una sorta di sistema telegrafico che permette di mandare messaggi a grande distanza in un tempo ridottissimo.

Ma la situazione non è rosea, perché da quando una delle aziende principali dei Clacks è stata comprata da un gruppo di rapaci finanzieri che non sanno nulla di tecnica ma tutto di economia, il personale è stato ridotto, il servizio è peggiorato e i prezzi sono saliti.

Lord Vetinari decide allora, con l’aiuto del truffatore redento Moist Von Lipwig, di resuscitare il servizio postale per combattere contro queste politiche predatorie.

Notate qualche dettaglio comune con la situazione economica odierna? Bene. Andiamo ad approfondire.


*Pippone mode on*

La sempre maggiore concentrazione di potere, il quasi monopolio che stiamo vivendo su più livelli porta a un generale abbassamento della qualità dei servizi e dei prodotti.

Pensate a grandi aziende come Amazon, Google o Meta.

La prima ha monopolizzato il mercato online con un sistema piuttosto preciso: all’inizio non importava fare utile, l’importante era eliminare la concorrenza. E questo è stato fatto in più modi. Per esempio Amazon all’inizio ha accolto a braccia aperte i venditori e i produttori sul proprio marketplace (anche a costo di essere in perdita) per poi copiare i loro prodotti più redditizi e buttarli fuori dal mercato.
Oppure ha costretto altri venditori che non erano disposti a sottomettersi ad andare in bancarotta proponendo prodotti concorrenti a una frazione del prezzo (anche qui andando in perdita) mandando in bancarotta il venditore. Una volta che l’azienda vittima era fuori dai giochi, Amazon ha di nuovo alzato i prezzi, sapendo benissimo che per l’acquirente non c’erano alternative online.
Per approfondire: https://pluralistic.net/2024/03/01/managerial-discretion/

Oppure facciamo l’esempio di Google, che a un certo punto era IL motore di ricerca. La maggior parte del traffico ai siti veniva generato da Google e mettere qualche pubblicità era un buon modo per far quadrare i conti. Ma poi Google ha deciso che nelle ricerche erano più importanti i risultati sponsorizzati che quelli pertinenti, diventando l’azienda leader (per non dire l’unica) per gli spazi pubblicitari online. Una volta ottenuta la fetta di mercato che voleva, ha cominciato a tagliare i costi, il che ha portato a un peggioramento dei risultati di ricerca fino ad arrivare a oggi, dove Google non dà più link da cliccare ma riassunti fatti dall’AI, affossando il traffico di quasi tutti i portali online.

È logico: secondo le teorie economiche liberiste la concorrenza porta a più qualità, perché le aziende devono lottare per conquistare l’acquirente. In questo modello vince il prodotto migliore, il miglior rapporto qualità-prezzo.
Ma se la concorrenza non c’é più (come nel caso di Google o Amazon) perché il pesce più grande ha mangiato tutti gli altri allora la qualità non ha più importanza. E nemmeno il prezzo: l’unica azienda rimasta può massimizzare i profitti abbassando i costi (a scapito della qualità) e alzando i prezzi.

Ma seguitemi ancora un po’ in questo mio detour schizofrenico.


Così come i monopoli odiano la concorrenza, così il capitalismo odia la solidarietà e il mutualismo.

Da quarant’anni veniamo tormentati da una feroce propaganda anti-solidale: l’individualismo è il mantra degli ultimi decenni. Siamo tutti perle uniche che hanno diritto a tutto il successo che possiamo arraffare, calpestando qualunque cosa ci si metta di traverso. Ma non solo: la spinta per l’individualismo è una strategia precisa per screditare lo stato sociale e (mi dispiace ma credo che sia proprio così) la democrazia.

Da anni il liberismo della scuola di Chicago si aggira per l’Europa (ha!), introducendo austerity, taglio alle spese sanitarie e scolastiche, attaccando il welfare state.
In generale l’economia globale, con l’outsourcing della produzione in paesi emergenti e l’aumento del settore terziario nei paesi del blocco occidentale, ha modificato gli equilibri e i flussi di denaro in tal modo che oggi ci troviamo con stati nazionali che non sono in grado di sostenere le spese di una popolazione che invecchia, e grandi aziende che hanno un fatturato superiore al PIL di intere nazioni.

Per non parlare della spinta al consumismo compulsivo sempre più forte.

L’individualismo è uno strumento per indebolirci, isolarci, e farci comprare.

Ci hanno insegnato che il successo è avere una casa, una famiglia nucleare, una lavatrice e due automobili, costringendoci a lavorare duramente per ottenere queste cose. Lavorare tanto, lavorare a volte troppo. E costringendoci a odiare chi non si uniforma a questo mantra del successo.

Il nostro valore è legato al nostro potere d’acquisto e alla nostra produttività. Chi non può comprare né produrre valore viene escluso, odiato.

Per approfondire questo tema (ed evitare che questo articolo diventi una bibbia) consiglio di recuperare tutta la produzione di Naomi Klein, cominciando da No Logo e Shock Economy (oggi lo si trova in versione aggiornata post-Trump e ribattezzato in Shock Politics).

E alla fine, il colmo della beffa, ci hanno convinto che la soluzione ai problemi sistemici creati dal capitalismo – come la crisi climatica – siano misure individuali.
La raccolta differenziata, il turismo sostenibile, il tofu (dopo che ci hanno rimpinzato di carne a buon mercato per decenni), la macchina elettrica.

Lo sapevate che il carbon footprint è un concetto inventato per una campagna pubblicitaria della BP?

Ma la soluzione a problemi così grandi e complessi non può essere una serie di iniziative individuali. Non possiamo salvare il mondo da soli. Dobbiamo fare squadra, gruppo, dobbiamo trovarci d’accordo e costringere governi, aziende, enti a cambiare paradigma.

E qui sta la sfida: unirsi in un mondo che ci vuole tutti separati.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *