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La chat del ristorante cinese, di Alice Cervia

da | Mag 29, 2024 | Racconti | 1 commento

Troppo piccante, troppa cipolla. Il mio ultimo pasto.
Il sole brucia gli occhi, l’odore di resina brucia il naso. Il peperoncino brucia la lingua. Il mare davanti a me. Nessuna scelta rimasta, mangiare prima, saltare poi.

Per la prima volta nella mia vita farò un bagno dopo mangiato senza sentire nelle orecchie la profezia “congestione” scandita da mia madre. A risuonare sarà invece il grido di quelli intorno a me “a morte, a morte”. L’ultimo pasto, l’ultimo bagno, l’ultimo suono.

Questa è una lista, parziale, delle cose a cui non credo:

Non credo che lo yogurt greco sia meglio
Non credo al potere salvifico dell’aloe vera
Non credo agli errori in buona fede
Non credo alle sigarette elettroniche
Non credo agli astemi
Non credo alla bresaola

Fino a due settimane fa avrei aggiunto che non credo ai tarocchi. Invece no, ai tarocchi ora credo, fermamente.

Sono i tarocchi che mi hanno spogliato del mio completo spezzato grigio, mi hanno buttato giù dai tacchi, mi hanno tracciato due righe di eyeliner nero gocciolante sopra le palpebre, mi hanno avvolto un foulard in testa e mi hanno portato qua, su questo legno, davanti a questo mare, di fronte a questo ultimo pasto.

Due settimane fa, alle 9.15 avevo appuntamento dal commercialista per la dichiarazione dei redditi. Lui insiste da tempo, dicendo che ha accesso a tutti i miei dati online e non c’è bisogno di vederci di persona. Ma gli accertamenti fiscali mi mettono sempre ansia e il contatto umano con un vecchio fiscalista quasi in pensione mi rassicura un poco.

Non credo alla marca da bollo digitale
Non credo alla fatturazione elettronica
Non credo al rimborso delle spese mediche

Mi ha accolto con un’aria sorniona: “Lo troverà divertente. Qualcosa di cui ridere con le amiche” mi ha detto.

Stava facendo un controllo dei miei codici Ateco e si è accorto che ce n’era uno di troppo.

Non credo nelle definizioni dei codici Ateco

A quanto pare, da un po’ di anni a quella parte, per colpa di qualche funzionario distratto, ero abilitata all’esercizio di una nuova professione:

“Operatrice olistica e divinatrice”.

“In pratica una cartomante!”  rideva il commercialista. Per l’eliminazione di un codice Ateco occorrevano 15 giorni.  Quindici giorni durante i quali avrei potuto predire il futuro ed emettere regolare fattura.

Sono tornata a casa, rinunciando a passare dall’ufficio.

Non credo nel lavoro in presenza
Non credo nello smart working

Sono tornata a casa e mi sono fatta un caffè. Sono salita su una sedia, ho spostato tre pentole sopra la cappa della cucina e ho recuperato la ‘turca’ di mia nonna.

L’ho lavata, ho preparato il caffè e ho letto il fondo della tazzina. C’era scritto: “Vai da Rita”.

Mi sono tolta il completo da ufficio, messa due righe di trucco e avvolta i capelli nel foulard colorato che mi aveva regalato Rita. E sono andata a trovarla. Al cimitero, perché Rita è morta.

Non credo nella vita ultraterrena
Non credo ai fiori finti che sembrano veri

Sulla tomba di Rita c’era un mazzo di carte. Più d’uno. I suoi ammiratori li portavano in gentile omaggio. Non si domandavano come potesse morire sul colpo, colpita da un gatto di dieci chili volato giù dal terzo piano, una che diceva di predire il futuro. Aveva 97 anni e fumava da 90. Godeva di ottima salute, fino all’impatto con il felino.

Rita era mia nonna. Sulla tomba c’era scritto “Uscita in mare”. Le piacevano le storie di pirati. I tarocchi, il vino, gli uomini biondi e le storie di pirati. E io, quando non mi vestivo di grigio.

Mescolo le carte e faccio un giro sulla sua tomba. Escono il matto, la morte, il viaggio e il pirata. Il pirata è una carta che non esiste, in nessun mazzo di tarocchi. In quello di Rita sì.

Il matto, la morte, il viaggio e il pirata. Non ho controllato il telefono da prima dell’appuntamento con il commercialista. Sarà pieno di notifiche.

Non credo nell’iperconnettività
Non credo in Skype, Slack, Teams

Ho solo un messaggio Whatsapp: mi hanno aggiunta alla chat del ristorante cinese sotto casa. Il messaggio di benvenuto dice che l’invito è riservato ai clienti più affezionati.

Non credo alla salsa di soya a basso contenuto di sale

Non credo ai gamberi nelle nuvolette di gamberi

Ho fame e digito veloce il mio solito ordine. Mi aspetta un take-away caldo e fumante.

Mi aspetta un ristorante chiuso. Un uomo con una gamba di legno e un occhio bendato. Mi aspetta una macchina con i vetri scuri che mi porta al porto. Guidando veloce.

Mi aspetta una nave di legno. Una bandiera nera con il teschio mi fa ombra mentre salgo.

Non credo alla cantieristica navale di lusso
Non credo alla pubblicità degli yacht

A bordo mi salutano con inchini profondi. Il capo dei pirati ha denti d’oro e conosceva Rita. É

biondo e ammicca. Mi chiede una lettura dei tarocchi.

La sbaglio.

Non credo nel destino

Non credo nelle coincidenze fortunate

Non credo nell’eredità familiare.

Mangio un ultimo, piccantissimo, raviolo al vapore e salto.


Alice Cervia è nata in Toscana nel 1984. Laureata in Scienze Politiche, ha lavorato per diversi anni nel settore della comunicazione e attualmente è video production manager per serie animate. Ha pubblicato racconti brevi su “Rivista Blam”, “Coye”, “Piegàmi”, “Bomarscé”, “la nuova carne”, “Rivista Pastrengo”, “Tits’n’Tales”, “Cedro Mag”, “Spore”, “Salmace”, “Nido di Gazza”, “Crack Rivista”, “Limen Pastiche”. Nel 2022 è stata tra i vincitori del premio “Short Kipple” con Colori Clandestini e del contest letterario “Crimen Cafè” con Vuoti a vendere. A marzo 2024 è uscito il suo primo romanzo breve “La coda delle lucertole” per Augh edizioni.

1 commento

  1. Marco

    Divertito. Grande fantasia e scrittura scarna, essenziale.
    Rara combinazione, ottima.

    Rispondi

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