Che fatica vivere quando il cervello funziona a singhiozzo.
Quest’anno compio quarant’anni. È un traguardo di tutto rispetto e guardandomi alle spalle mi rendo conto che la persona che sono oggi è una persona profondamente diversa da quella che ero 15 anni fa.
Un po’ di tempo fa mi è venuto in mente di scrivere a proposito di una cosa che ha influenzato la mia vita in modo piuttosto pesante.
La procrastinazione. Quella tendenza irrazionale a ritardare un compito nonostante si sappia benissimo che questo avrà delle conseguenze.
Fino a qualche anno fa non sapevo cosa fosse la procrastinazione, ma sapevo che avevo qualcosa che non andava.
A scuola non facevo i compiti, non studiavo, mi dimenticavo il materiale. Andavo male e i docenti mi rimproveravano spesso. I voti erano buoni solo nelle materie in cui ero brava anche senza studiare, come le lingue.
Ho avuto un percorso scolastico difficile, con bocciature e cambi di percorso e alla fine mi sono diplomata in un campo che non mi piaceva granché.
Quando poi ho iniziato a lavorare è stato anche peggio: faticavo a terminare i compiti noiosi. Se una cosa non era urgente o non avevo qualcuno che mi costringeva a farla, la lasciavo lì, me la dimenticavo. Questo modo di fare era problematico. Ero considerata pigra, distratta, imprecisa.
Oggi so come funziona il mio cervello: si nutre di stimoli. Questi stimoli possono essere un tema interessante, un compito stimolante, oppure il più classico panico dell’ultimo minuto. Sicuramente non sono stimolanti le tabelle excel da aggiornare oppure testi tecnici da tradurre.
Quando una cosa mi interessava la situazione era completamente diversa. Non avevo difficoltà, mi concentravo e lavoravo duro. Ero in grado di fare degli schemi riassuntivi molto amati da tutti i miei compagni di classe, perché facilmente comprensibili e utili. Non ero stupida. Non ero pigra.
Non lo so se questo problema potrebbe essere diagnosticato in un modo più preciso. Non mi interessa nemmeno. Non ho bisogno di un’etichetta, perché negli anni ho trovato dei modi per combattere questa mia caratteristica.
Prima di tutto è stato importante riconoscere che il mio era un problema di procrastinazione. Non riuscendo a costringermi a fare i lavori che il mio cervello reputava noiosi, ho iniziato a interessarmi ai metodi per organizzare il lavoro. Dovevo trovare una soluzione, perché nel lavoro da dipendente non posso decidere io cosa va fatto, mi viene imposto.
E un primo passo in avanti era trovare dei sistemi che mi permettessero di non perdere in giro pezzi, di rispettare le scadenze e di finire i compiti che mi venivano assegnati, senza farmi paralizzare dalla paura o dalla noia.
Uno dei primi libri che mi ha aiutato a sistematizzare il mio modo di lavorare è stato Detto Fatto di David Allen. Basato sul sistema di sua invenzione Getting Things Done, Allen spiegava come raccogliere e organizzare tutte le “cose” che affollano la mente, per poterla liberare da questo peso ed essere in grado di concentrarsi sul lavoro da fare. In primis si tratta di scrivere. Scrivere le cose da fare, i progetti, tutte quelle piccole incombenze che ci fanno ammattire perché continuano a ronzare in testa. E poi spezzettarle in passi più digeribili.
Scrivermi le cose ha effettivamente migliorato il mio modo di lavorare. E mi ha stimolato ad approfondire sempre di più il mio interesse per questi metodi di organizzare le informazioni. Ne ho già scritto in questo articolo dedicato alla scrittura.
Perché il mio cervello non solo odia fare le cose che non lo interessano, ma è sempre in movimento. Viene attirato dalle cose che leggo, dalle immagini che vedo, dalle conversazioni che sento, generando un flusso costante di pensieri caotici.
Temo di essere ripetitiva, ma se devo identificare l’azione che più mi ha aiutata in questi anni a trovare un equilibrio in questa società fissata con la produttività, è il prendere appunti.
Prendere appunti è un abitudine che mi ha letteralmente cambiato la vita. Negli anni ho imparato – grazie agli appunti – a distinguere meglio le informazioni importanti da quelle superflue, a fissare delle priorità nel flusso di lavoro, a organizzare le informazioni e a minimizzare il tempo perso nel capire cosa devo fare.
Ho sviluppato una vera e propria fissazione per i supporti cartacei (non toccatemi i miei Leuchtturm e i miei taccuini Rhodia), per le penne (ormai uso solo Pentel EnerGel 0.5 nere) e per gli strumenti di organizzazione delle informazioni.
Oggi riesco (più o meno) a stare dietro a tutte le incombenze di un nucleo familiare classico con lavoro, scuola, casa e le rotture di scatole conseguenti.
Affronto questa mole di “cose” con un elaborato sistema di specchi e leve composto da:
- un calendario online condiviso con mio marito;
- una lista delle cose da fare, anche questa sincronizzata su più dispositivi;
- un’app di lista della spesa condivisa;
- un diario cartaceo che mi porto sempre dietro (il Leuchtturm di cui prima);
- millesettecento to-do list, costantemente aggiornate, pasticciate, stracciate e riscritte.
- una marea di fogli di carta riciclata tenuti insieme da molle fermacarte per gli appunti volanti.
Ci sono altre cose che invece negli anni ho deciso di mollare. Nessuno dei miei conoscenti si offende più se non rispondo al telefono. O se mi perdo un vocale. Rappresentanti di classe sanno che le cose importanti della scuola me le devono dire a voce perché i gruppi WhatsApp sono TUTTI silenziati. E ho accettato il fatto che non posso fare tutto, quindi a volte decido che una cosa non la faccio, e stop.
Funziona?
Non sempre. A volte ancora perdo pezzi, imbarazzandomi oppure imbarazzando la mia famiglia. Ma non è più così grave come quando ero giovane, in cui rischiavo la bocciatura o il licenziamento. Ora galleggio serenamente nel mare degli impegni, ben sapendo che non posso affrontarli tutti insieme. Ma ho gli strumenti per organizzarli meglio.
Avete mai avuto questo tipo di problemi? Come affrontate l’organizzazione del lavoro? Raccontatemi tutto nei commenti.
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